[Slatkine, Genève 2016]
Meizoz è noto nell’ambito degli studi letterari per il concetto di posture, col quale intende l’identità dell’autore all’interno del campo letterario; tale identità, oltre a essere ben distinta dalla biografia, va pensata come un costrutto realizzato sia dall’autore stesso sia dal contesto che lo circonda. Con posture Meizoz persegue dunque l’ambizioso scopo di superare la problematica eppur longeva contrapposizione tra una idea di “autore” ancorata alla poetica, che spesso ne esalta la singolarità o addirittura l’unicità, e una nozione di “autore” legata alla storia, ovverosia a una dimensione collettiva nonché pubblica. A Postures (2007) e a La fabrique des singularités (2011) è seguito La Littérature “en personne”, che mette l’accento su uno specifico aspetto del problema, quello della spettacolarizzazione dell’autore e della letteratura come performance. Meizoz muove da un’idea di letteratura intesa come insieme di pratiche, discorsive e non discorsive. Da qui il rifiuto di identificare la letteratura con un corpus di scritti: perché sin dalle origini la dimensione non scritta è stata fondante, e soprattutto perché da sempre la letteratura ha a che fare con il “corpo in scena” dello scrittore e con tratti a esso relati, come i vestiti, i gusti, la gestualità, i tic retorici impiegati. Soprattutto dopo l’invenzione della fotografia, e più ancora nell’era della televisione e poi di internet, tali pratiche acquisiscono un significato, derivante sia dall’intenzionalità del soggetto che le adotta, sia dall’azione del contesto, il quale le seleziona garantendone o meno l’intellegibilità, le modifica, o addirittura le genera tout court. Che tali pratiche facciano pienamente parte, assieme ai testi scritti, dell’opera di un autore è appunto la tesi principale di Meizoz. Di conseguenza, ad esempio, la vocalità e la corporeità che gli scrittori mettono in gioco quando tengono discorsi sulla loro stessa opera, come spesso accade in occasione del conferimento di premi letterari, sono anch’esse prese di posizione metapoetiche, non meno valide di quelle contenute nel discorso stesso. Un caso esemplare da questo punto di vista è quello di Michel Houellebecq, al quale Meizoz dedica, tra gli altri, un’analisi puntuale. L’identità letteraria dello scrittore francese – sostiene Meizoz – ha preso forma più grazie al suo “agire pubblico” che grazie al suo stile o al suo modo di pensare. Houellebecq ha volutamente reso i suoi testi secondari rispetto alle pratiche che mette in atto, tra le quali c’è il modo consapevole in cui si fa ritrarre in fotografia per giornali e riviste. Tale modo implica la ripresa, talmente fuori tempo massimo da risultare ridicola o ripugnante, del topos dello scrittore con la sigaretta in bocca; il sacchetto di plastica che lo scrittore tiene in mano, che sottende una rivendicazione della figura dell’uomo medio, anche nei suoi tratti più laidi; la presenza del cane Clément, referenza simbolica alla misantropia nonché a Schopenhauer che elesse il cane a erede universale. Meizoz rileva come tutto ciò non sia solo il risultato di una messa in scena di se stesso da parte dell’autore; la postura di Houellebecq è un “feticcio istituzionale“ elaborato collettivamente da una pluralità di mediatori del mondo dell’editoria, dei media, della politica, della letteratura. Pur ritenendo che limitarsi a studiare i testi di Houellebecq renderebbe invisibile una parte della sua opera, Meizoz non li esclude dalla sua indagine. Si concentra soprattutto su La Carte et le Territoire (2010), dove la questione centrale è proprio quella del realismo in letteratura: del come superare l’abisso che sembra separare la rappresentazione (la carta) e ciò a cui tale rappresentazione si riferisce (il territorio), specialmente nei casi in cui, come afferma Jean Baudrillard, «la carte crée le territoire» – un problema che rimanda a casi come questo: casi in cui sono le rappresentazioni autoriali, ovvero le posture, a creare gli autori.
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